Il gaslighting

Quando i silenzi feriscono più delle parole

C’è una forma subdola di violenza che non si manifesta con scoppi di rabbia bensì attraverso silenzi ostili e parole usate come armi. E’ una forma d’abuso antica, perpetrata soprattutto tra le “tranquille” mura domestiche, distruttiva poiché lascia ferite psicologiche molto profonde e difficilmente rimarginabili.  Parliamo del “GASLIGHTING”, una tecnica di crudele ed infida manipolazione mentale.

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Il termine è mutuato dalla drammaturgia e in particolare dal film “Gaslight” del regista americano Georg Cukor (1944), tratto a sua volta dalla pièce teatrale “Angel Street” di Patrick Hamilton (1938): un dramma psicologico che racconta le vicende di una coppia. Dopo un periodo felice il rapporto tra i due si incrina ed il marito, con una diabolica ed artificiosa tecnica psicologica, alterando le luci delle lampade a gas della casa, spinge la moglie fin sull’orlo della pazzia. Solo l’intervento di un detective riuscirà a ristabilire la verità: si scoprirà così che il marito è uno psicopatico criminale.


E’ difficile riconoscere questo tipo di violenza:

  • è insidiosa, sottile e non se ne percepisce l’inizio; spesso è scusata dalla stessa vittima; non trattandosi di una deflagrazione d’ira (che almeno è subito identificabile e magari oggetto d’immediata risposta, anche legale) difficilmente viene riconosciuta dalla vittima stessa e dai suoi famigliari; è gratuita e persistente, reiterata quotidianamente; ha la capacità di “annullare” la persona che ne è bersaglio; è un vero e proprio lavaggio del cervello; pone la vittima nella condizione di pensare di “meritarsi quella punizione”; 
  • è un comportamento messo in atto per minare alla base la fiducia che la vittima ripone in sé stessa, dei suoi giudizi di realtà, facendola sentire sbagliata, confusa fino a dubitare di stare impazzendo; è’ un’azione di manipolazione mentale con la quale il gaslighter (l’abusante) mette in dubbio le reali percezioni dell’altra persona; spesso è adottata dal coniuge abusante per chiudere rapporti coniugali travagliati dietro ai quali, molto spesso, si celano insoddisfazioni personali e relazioni extraconiugali.

Il gaslighting è una forma di violenza che si sviluppa anche all’interno di rapporti sufficientemente funzionali. Può accadere che un evento frustrante, al quale non si sa adeguatamente reagire, metta in crisi la fiacca sicurezza e la scarsa fiducia che ripone in sé il manipolatore tanto da pregiudicare irreparabilmente le dinamiche relazionali: il legame diventa maligno, si trasforma in una trappola che distrugge il cuore e la psiche della persona oggetto delle molestie. Così come le frecce del mitico Eracle, il gaslighting lascia ferite che nessuno potrà guarire. Una relazione di questo tipo è, in modo conclamato, narcisistico-perversa, una relazione, cioè, caratterizzata dalla presenza di un persecutore – che “deumanizza”, manipola, controlla totalmente, impedisce separatezza ed autonomia della vittima – e di una vittima che, dall’altra parte, si trova intrappolata nella rete per lei tessuta e che, lentamente, è portata ad abbandonare le proprie resistenze fino alla resa completa.  L’aspetto beffardo di questa manipolazione è che la vittima alla fine si trasforma inconsapevolmente nella complice del suo persecutore, contro sé stessa. In questo sprofondamento nell’abisso la vittima attraverserà, a grandi linee, tre fasi successive:

  1. distorsione della comunicazione: in questa prima fase la vittima non riuscirà più a capire il persecutore. I “dialoghi” saranno caratterizzati da silenzi ostili alternati da piccature destabilizzanti. La vittima si troverà così disorientata, confusa,  come nella nebbia.
  2. tentativo di difesa: in questa seconda fase la vittima cercherà appunto di difendersi, provando a convincere il suo persecutore che la verità è un’altra; proverà ad instaurare un dialogo ostinato, con la speranza che ciò serva a far cambiare il comportamento del gaslighter. La vittima si sentirà travolta da un compito diventato per lei basilare: far cambiare idea al persecutore, attraverso il dialogo e l’ascolto.
  3. depressione: in questa terza fase la vittima vedrà piano piano spegnersi il suo soffio vitale, non avrà più forze per lottare e si convincerà che ciò che il persecutore pensa e dice di lei  corrisponde alla verità.

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Sono classificabili tre tipi di manipolatore:

  1.  Il manipolatore affascinante: è probabilmente il più insidioso. Alterna silenzi ostili e tremende pungolature a momenti di intense profusioni d’ “amore”. Sottopone la sua vittima ad una continua doccia scozzese, creando, così,  artatamente, un’ atmosfera massimamente disorientante per la vittima.
  2. Il manipolatore bravo ragazzo: pensa solo a sé stesso ed è il classico lupo travestito da agnello. Sotto al travestimento si nasconde un tremendo individualista:  sempre attento ad anteporre i propri bisogni, il proprio tornaconto personale a quello della vittima, anche se riesce a dare un’impressione opposta.
  3. L’intimidatore: è il più diretto. Non si preoccupa di nascondersi dietro false facciate: rimprovera e maltratta apertamente la vittima. E’ più facile riconoscerlo.

Non vi sono parole per descrivere la sensazione di morte imminente che prova la persona colpita da questo tipo di maltrattamenti psicologici. Alla vittima è tolta la speranza del domani e ben presto manifesterà problemi psichici e psicosomatici.


 

Dott.ssa Silvia Darecchio  – Psicologa – San Polo di Torrile (Pr)  contatti