Non riesco a dormire


E’ ormai notte fonda. Siamo a letto, ma siamo ancora svegli: abbiamo guardato un’ altra puntata di quel programma, letto due pagine, bevuto una tisana, spento la luce, acceso la luce, spento la luce. E ora continuiamo a rigirarci, tentando di trovare la posizione che ci permetterà di prender sonno. Invano. Le ore passano, ma continuiamo ad essere svegli: pensiamo al giorno che ci attenderà e che ci vorrà pieni di energie, ci preoccupiamo, ci alziamo dal letto tanto per vedere se funziona. Siamo sempre più stanchi ma non riusciamo ad addormentarci.

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Senza alcun dubbio, sono tante le persone che hanno trascorso almeno una notte della propria vita in questo modo: passando le ore svegli nonostante la stanchezza e il profondo desiderio di dormire. I sintomi dell’insonnia infatti sono molto comuni. I dati ci dicono che mentre circa il 30-35% della popolazione mondiale manifesta qualche difficoltà nel sonno, ben il 10-15% della popolazione lamenta difficoltà quotidiane associate ad un disturbo da insonnia propriamente detto. Il sintomo più frequente, nei più giovani, è la difficoltà nell’addormentamento, mentre per le persone di mezz’età e anziane la manifestazione più tipica è rappresentata dai risvegli frequenti durante la notte. Il disturbo da insonnia può manifestarsi a qualsiasi età, anche se il primo episodio avviene solitamente nella tarda adolescenza/prima età adulta; è più frequente nelle donne; è più frequente nei pazienti psichiatrici.

dormire 2Disturbi del sonno

Come spiega il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM V) i disturbi del sonno sono, oltre al più conosciuto e diffuso disturbo da insonnia: il disturbo da ipersonnolenza, la narcolessia, i disturbi del sonno correlati alla respirazione, i disturbi dell’arousal del sonno REM, la sindrome da gambe senza riposo e il disturbo del sonno indotto da sostanze/farmaci.

Disturbo da insonnia

Se le alterazioni del sonno si verificano per periodi che vanno da qualche giorno a qualche settimana, si parla di disturbo acuto del sonno. Quando le alterazioni del sonno si manifestano per almeno 3 mesi, si parla invece di disturbo da insonnia.  L’insonnia è un disturbo caratterizzato da un sonno insoddisfacente e non riposante che si manifesta con sintomi notturni, quali:

  • difficoltà nella fase di addormentamento,
  • risvegli notturni frequenti,
  • precoci risvegli mattutini. 

e sintomi diurni: 

  • stato di fatica quotidiana / affaticabilità;
  • preoccupazioni circa il sonno;
  • sonnolenza diurna;
  • difficoltà cognitive: deficit dell’attenzione, nella concentrazione e nella memoria;
  • maggiore irritabilità;
  • senso generale di malessere spesso associato ad un tono dell’umore alterato;
  • maggiore labilità emotiva;
  • sintomi ansiosi e depressivi;
  • peggioramento nel rendimento sociale e lavorativo;
  • sintomi fisici, quali: fastidi gastrointestinali, stati di tensione muscolare, mal di testa, fomicolii.

Inutile dire che il disturbo da insonnia provoca un preoccupante calo della qualità di vita dell’individuo.

L’insonnia può associarsi a:

  • disturbi medici (ad esempio ipertensione e disturbi cardiaci);
  • disturbi psichiatrici (ad esempio disturbi d’ansia e disturbi dell’umore);
  • cattive abitudini comportamentali (ad esempio l’abuso di caffeina, l’utilizzo eccessivo di videoterminali o il passare troppo tempo a letto);
  • cattive abitudini cognitive (ad esempio sforzarsi o preoccuparsi di non riuscire ad addormentarsi).
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In alcuni casi l’insonnia è uno dei primi segnali dello sviluppo di un disturbo psichiatrico che va identificato e trattato per tempo. Nonostante il disturbo da insonnia sia molto diffuso nella popolazione generale, le cause che ne determinano il manifestarsi non sono ancora state comprese completamente. La comunità scientifica è, tuttavia, ormai concorde nel ritenere che a favorire l’esordio e il mantenimento del disturbo sia un insieme di fattori genetici, comportamentali, emotivi e cognitivi.

  • Fattori genetici: esiste una predisposizione genetica che rende alcuni individui più vulnerabili a sviluppare il disturbo da insonnia. Grazie alle ricerche effettuate sappiamo, infatti, che il 30% dei soggetti affetti da insonnia ha un familiare che soffre dello stesso disturbo.
  • Fattori comportamentali: sono state individuate alcune abitudini comportamentali capaci di favorire   l’insorgenza e il mantenimento dell’insonnia. Tra queste: usare dispositivi elettronici prima di addormentarsi (ad es. computer o smartphone), passare molto tempo a letto, avere orari e ritmi di sonno/veglia irregolari, dormire durante il giorno.
  • Fattori emotivi: in molti casi il disturbo da insonnia esordisce durante un periodo di stress acuto, per eventi avversi o insistenti preoccupazioni, e tende poi a cronicizzarsi. L’insonnia è inoltre presente come sintomo in molti disturbi mentali, in alcuni casi la sua comparsa può essere il primo sintomo di un disturbo psichiatrico più importante (ad es. la depressione maggiore).
  • Fattori cognitivi: alcuni stili cognitivi possono favorire l’insonnia, ad esempio il tendere a rimuginare. La tendenza a rimuginare e a preoccuparsi possono infatti causare difficoltà nell’addormentamento. Tali difficoltà portano poi a generare ulteriori preoccupazioni che non fanno altro che peggiorare il quadro dell’insonnia.

Disturbi d’ansia e insonnia

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Diversi studiosi hanno dimostrato un’associazione, clinicamente e scientificamente nota, fra il disturbo da insonnia e i disturbi di ansia. Nel disturbo da insonnia l’ansia  può agire come causa e come aggravante del problema: l’ansia di non riuscire a dormire alimenta l’insonnia, che a sua volta aumenta l’ansia, in un circolo vizioso che tende a cronicizzarsi. Anche il Manuale Diagnostico e Statistico per i Disturbi Mentali (DSM V) sancisce un legame fra questi due disturbi e riconosce, tra i sintomi del disturbo da ansia generalizzata (GAD), diverse “alterazioni del sonno”, quali:

  • difficoltà ad addormentarsi;
  • difficoltà a mantenere il sonno;
  • sonno inquieto;
  • sonno insoddisfacente.

Le persone che manifestano il disturbo d’ansia generalizzata (GAD), infatti, rispetto al sonno tendono a soffrire di difficoltà di addormentamento, a svegliarsi diverse volte durante la notte, ad avere un sonno qualitativamente compromesso, a temere di non riuscire più a dormire in modo soddisfacente. Spielman (1987) ha elaborato un interessante modello eziologico dell‘insonnia in cui riconosce i 3 fattori responsabili dello sviluppo del disturbo:

  • I fattori predisponenti;
  • I fattori precipitanti;
  • I fattori perpetuanti.

I fattori predisponenti:  sono i fattori che “preparano il terreno” all’ insonnia, come un contesto particolarmente stressante oppure alcune caratteristiche individuali, come l’essere ansiosi o ipervigili. Infatti l’ ansia, associata a rimuginio e ruminazione, favorisce la veglia e ostacola il sonno. In questo senso alcune persone hanno una maggiore “predisposizione” a sviluppare il disturbo da insonnia.

I fattori precipitanti: sono quei fattori che determinano l’insorgenza vera e propria dell’ insonnia. Parliamo di eventi che, a causa di loro determinate caratteristiche, aggravano la predisposizione dell’individuo a non dormire; un fattore precipitante potrebbe essere rappresentato, ad esempio, dall’aggravarsi di un problema (relazionale, di salute, lavorativo), da un episodio specifico (un incidente), da un evento ingestibile (un lutto) o, più semplicemente, dalla presenza di generiche preoccupazioni. Se ai fattori predisponenti aggiungiamo fattori precipitanti, ecco che l’insonnia risulta essere il risultato di uno stress eccessivo, fatto di ansia, di squilibri emotivi e di preoccupazioni.

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I fattori perpetuanti: sono i fattori che mantengono nel tempo il disturbo da insonnia, che diventa cronico. I fattori che perpetuano il disturbo sono rappresentati da tutti quei comportamenti disfunzionali che la persona mette in atto per riuscire a “sconfiggere l’insonnia”: pensare all’insonnia, ai perchè, pensare ai danni causati dal proprio non dormire, rimuginare, preoccuparsi, immaginarsi scenari catastrofici e tutta una serie di comportamenti compensativi.  Tuttavia alla base di questi comportamenti vi è sempre l’ansia, che alimenta il disturbo e ne impedisce la risoluzione. L’ansia di non riuscire a dormire alimenta l’insonnia che, a sua volta, aggiunge ansia all’ansia, aumentando lo stato di attivazione interna (arousal) e generando un circolo vizioso che renderà ancora più persistente l‘insonnia. Questo circolo vizioso, fatto di pensieri disfunzionali, ansia e comportamenti compensativi errati, potrebbe proseguire all’infinito. In questo senso un ruolo fondamentale è giocato dai pensieri “tossici”, dalle distorsioni cognitive, che oltre a causare emozioni negative, rappresentano convincimenti falsi, ovvero non basati su verità oggettive ma su credenze soggettive erronee.

Risolvere il disturbo da insonnia significa, quindi:

  1. intervenire sull’ansia: alla base del disturbo c’è l’ansia, che ostacola la serenità della persona e impedisce il riposo;
  2. intervenire sui pensieri: è fondamentale modificare i pensieri disfunzionali, che contribuiscono a mantenere e a peggiorare il disturbo;
  3. intervenire sulle emozioni negative: spesso per riposare adeguatamente vanno affrontate e gestite anche le proprie emozioni negative.

Da oltre 10 anni ascolto ed aiuto le persone, concretamente, ad uscire dalle situazioni difficili, a fronteggiare le sfide esistenziali e a riprogettare il futuro. In condizioni di incertezza posso aiutarti a superare le tue difficoltà, accompagnandoti verso una consapevolezza rinnovata delle relazioni che vivi, dei bisogni tuoi e degli altri, e del modo che hai di gestire i rapporti interpersonali. Posso aiutarti a ritrovare la serenità e il benessere tuoi, e della tua famiglia. Oltre al servizio di CONSULENZA ON-LINE E VIDEO-CONSULENZA ON-LINE ricevo nel mio studio in provincia di Parma per COLLOQUI IN PRESENZA

Dott.ssa Silvia Darecchio

La mente ossessiva: ossessioni e compulsioni

IL DOC

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Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è un disturbo grave ed invalidante che, se non diagnosticato e trattato, riduce molto la qualità della vita e la possibilità di realizzazione personale e professionale dell’individuo. Accade spesso infatti che le persone con DOC, a causa del loro disturbo, non riescano a studiare, a lavorare, a realizzarsi professionalmente, ad avere dei rapporti sociali adeguati e quindi a realizzarsi pienamente in termini umani più generali. Data la gravità del disturbo è importante quindi che sia diagnosticato e affrontato tempestivamente.

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DIFFUSIONE DEL DOC

Alcuni dati: circa il 2/3% della popolazione mondiale, life-time, ha il rischio di manifestare un disturbo ossessivo compulsivo, senza differenze in termini numerici tra maschi e femmine, che si ammalano di DOC più o meno in ugual misura.  Una leggera differenza si nota tra i bambini: accade infatti che tendano a manifestare maggiormente i sintomi i maschi rispetto alle femmine; diversamente nella popolazione adulta il DOC è “democraticamente” diffuso in egual misura tra i due sessi.

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ESORDIO

Nella maggioranza dei casi, il Disturbo Ossessivo Compulsivo compare per la prima volta durante l’adolescenza e nella prima età adulta, infatti i due picchi maggiori di incidenza tendono ad essere a 15 e a 25 anni. Capita frequentemente tuttavia che gli esordi siano ancora più precoci e che già i bambini, di circa 10 anni, manifestino i segni e i sintomi del disturbo. Sembra essere più raro, invece, l’ outset tardivo, in età più avanzata. L’esordio, oltre ad essere piuttosto precoce, è subdolo e ingravescente. Rispetto ad altri disturbi infatti, diversamente da quello che accade ad esempio nel disturbo da attacchi di panico che da un giorno all’altro erompe stravolgendo e paralizzando la vita della persona, ha un esordio lento, progressivo e sempre più limitante, fino al punto in cui la persona si sente profondamente condizionata nella realizzazione della propria vita. Il DOC infatti se non trattato tende a cronicizzarsi, tende cioè a non guarire spontaneamente; spesso però va incontro a delle “variazioni”. Il Disturbo Ossessivo Compulsivo cioè può “variare” nel corso del tempo: la sintomatologia può cambiare (attraversando i vari tipi di DOC), ma il nucleo del disturbo rimane invariato. Quindi, poichè interessa gravemente soggetti per lo più molto giovani, con una lunga aspettativa di vita, è importante fronteggiare efficacemente questo (sempre più diffuso) problema, non solo esistenziale, ma anche  sanitario.

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DSM V

Il DMS V (Manuale Diagnostico Statistico – Psichiatrico) individua fondamentalmente due criteri per la diagnosi del DOC:

  • la presenza di ossessioni o compulsioni; 
  • la presenza di ossessioni e compulsioni insieme.

Le ossessioni sono dei pensieri (degli impulsi o delle immagini) intrusivi, ricorrenti, persistenti, fortemente indesiderati e, per questo capaci di suscitare forte ansia, disgusto o disagio nel soggetto. La persona, una volta che ha questo pensiero (idea, immagine, impulso, ecc…) intrusivo inaccettabile, mette in atto delle strategie atte a gestirlo, quindi può cercare di ignorarlo, di sopprimerlo o di neutralizzarlo. Le compulsioni sono definite come comportamenti, tendenzialmente ripetitivi e ritualizzati, messi in atto per gestire l’idea ossessiva (e l’ansia, disgusto, disagio correlati). La persona con DOC può avere la compulsione a lavarsi le mani, a riordinare, a controllare, oppure a compiere azioni solo mentali (contare, pensare, ripetere mentalmente) a seconda del tipo di pensiero ossessivo che ha e del bilancio costi/benefici che fa.  Il soggetto non  solo si sente costretto a mettere in atto compulsioni per neutralizzare/ignorare/sopprimere il pensiero ossessivo ma spesso deve seguire, agendole, delle rigide regole di attuazione. Il DSM specifica che le compulsioni servono a ridurre l’ansia e il disagio che il pensiero intrusivo suscita. Capita che le persone adulte con DOC siano piuttosto critiche rispetto alle proprie compulsioni, definendole esagerate, assurde, motivo di vergogna, ecc… questo accade soprattutto quando sentono di essere lontane da quelle situazioni-stimolo che causano in loro ansia e disagio. Nei bambini invece ciò generalmente non accade: nei bambini la critica alle proprie compulsioni tende a non esserci: il bambino, se costretto da un ambiente rifiutante/giudicante , tende a preoccuparsi solo di agire le proprie compulsioni lontano da occhi indiscreti.  Il secondo criterio del DSM V è che le ossessioni e le compulsioni implichino un dispendio di tempo di almeno un’ora al giorno e causino un disagio significativo. Questo criterio è rilevante quando vengono fatte valutazione testologiche per definire la gravità del disturbo: devono essere presenti ossessioni e compulsioni per almeno un’ora al giorno, ovvero per un tempo significativamente lungo e questo perché la patologia è vista all’interno di un continuum tra normalità e patologia.

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LE OSSESSIONI

Le ossessioni vengono definite come dei pensieri intrusivi indesiderati, ovvero dei pensieri (delle idee, delle immagini, delle percezioni, delle sensazioni, ecc…) che compaiono nella mente della persona improvvisamente, in maniera del tutto scollegata dal suo stato mentale, dal contesto e dalla situazione vissuta. In realtà, analizzando i racconti dei soggetti con DOC, spesso capita di leggere tra le righe come le ossessioni non capitino, ma piuttosto come diventino l’oggetto di una “ricerca attiva”. Accade cioè, ad esempio, che la persona quando finalmente vuole stare tranquilla, dopo aver compiuto tutti i rituali, per potersi godere pienamente il relax, cominci deliberatamente a fare dei check mentali per verificare che tutto sia a posto, con pensieri del tipo: ” Ho trascurato qualcosa? Ci sono altre minacce? Sono in pericolo?” A questo punto si concretizza, a livello mentale, la possibilità dell’ eventuale contagio/pericolo/minaccia (e quindi dell’ agire i comportamenti atti ai ridurre l’ansia, il disagio, il disgusto correlati). A livello clinico bisogna quindi operare la discriminazione tra ossessioni “cercate”, frutto in realtà di check di controllo, ed ossessioni “improvvise”, che capitano dal nulla. Le ossessioni spesso sono vissute come indesiderate, poichè colpiscono la persona nei suoi valori più importanti. Ad esempio, per il soggetto fortemente religioso, avere in mente un pensiero di bestemmia, può diventare qualcosa di inaccettabile e lo può portare a mettere in discussione anche la propria identità: “Chi sono io? Sono o non sono quella persona che voglio e credo di essere?” Capita che siano pensieri in contrasto con l’immagine che la persona ha di sè stessa: “Ma perché mi preoccupo di cose così banali? Io sono una persona razionale! Perché mi sto preoccupando se questo cartellino è messo qui o li?” . Un aspetto significativo delle ossessioni riguarda il “continuum”: vari studi confermano come i pensieri intrusivi siano del tutto simili a quelli dei soggetti normali, infatti circa il 80% delle persone ha questo tipo di pensieri. Tuttavia le persone con ossessioni manifestano una frequenza maggiore di questi pensieri ed un connotato emotivo correlato più forte, mentre la qualità dei pensieri è fondamentalmente la stessa dei soggetti senza ossessioni. E’ importante cioè sottolineare come non esistano pensieri “solo degli ossessivi”. La differenza più rilevante, oltre alla frequenza e alle forti emozioni correlate, è rappresentata dal fatto che le persone non ossessive, in qualche modo, non considerano questi pensieri intrusivi così problematici e non si soffermano così tanto su di essi. Invece, i pazienti con ossessioni mettono in atto tutta una serie di condotte atte a risolvere il problema posto dall’ossessione, ma questo non fa altro che produrre un effetto paradossale: più ci si accanisce per mandare via le ossessioni, più si cerca di sopprimerle e più la frequenza con cui compaiono aumenta. Questo è uno dei tanti meccanismi a spirale che contraddistinguono il DOC. E’ utile sottolineare la differenza che esiste tra due tipi di ossessioni: le ossessioni endogene (dette anche autonome) che sono appunto quei pensieri, immagini, sensazioni o impulsi che intrudono nella mente del paziente e che sono per lui inaccettabili e le “ossessioni reattive” che sono tutti i dubbi e le valutazioni (ruminazioni) fatte a posteriori, derivanti dal pensiero ossessivo endogeno stesso. Le ossessioni endogene infatti tendono a portare la persona a produrre tutta una serie di comportamenti, più o meno ritualizzati, finalizzati alla riduzione del correlato emotivo associato (ansia, disagio, disgusto), tra essi troviamo le ruminazioni (ossessioni reattive), le eliminazioni o evitamenti, le richieste di rassicurazioni e le compulsioni vere e proprie.

lavarsidoccia  ordine

LE COMPULSIONI

Le compulsioni sono comportamenti messi in atto a causa di un pensiero ossessivo e, come dice il DSM 5, possono essere “overt” o “covert”. Overt cioè esplicite, chiare, misurabili osservabili, ma anche mentali, ovvero covert, come lo sono il pregare, il contare, il ripetere formule o parole. Le compulsioni sono quindi azioni visibili o meno che il soggetto mette in atto per ridurre il forte correlato emotivo suscitato dal pensiero ossessivo. Un’ importante precisazione riguarda quindi la funzione delle compulsioni. Accade infatti che la compulsività sia una caratteristica associabile anche ad altri comportamenti, come accade ad esempio nello “shopping compulsivo” (un tipo di shopping “sfrenato” fatto senza reali necessità), in questo caso tuttavia, lo scopo primario dell’acquisto è di produrre un piacere, una gratificazione, non di ridurre un forte stato emotivo di ansia/disagio/disgusto. Altre caratteristiche delle compulsioni sono l’ insistenza, la ripetitività e la ritualizzazione. La ritualizzazione delle compulsioni può renderle estremamente invalidanti per il soggetto, perché implica che debbano essere compiute in un unico specifico modo e per un numero specifico di volte. Ad esempio: se la persona sente il bisogno di essere sicura di aver chiuso il rubinetto del gas, dovrà chiudere quel rubinetto e tutti i rubinetti del gas di casa uno alla volta, in una modalità precisa per un numero specifico di volte di seguito; sarà sufficiente che si distragga o abbia un dubbio, per sentire di dover ricominciare dall’inizio tutto il rituale di chiusura dei rubinetti, e di ripeterlo ancora e ancora, allorchè intervenisse di nuovo il dubbio. I rituali compulsivi diventano quindi molto lunghi e faticosi perchè le sensazioni di dubbio, di interruzione dell’attenzione, di inadeguatezza degli atti, ecc… accadono frequentemente, sia perché i rituali si protraggono a lungo tendendo ad affaticare l’apparato cognitivo, sia (e soprattutto) perchè, in buona sostanza, il dubbio è più potente della percezione stessa. Altri aspetti delle compulsioni: sono fluttuanti, “motivate” ed intenzionali (hanno un fine). Molto spesso infatti le persone con DOC raccontano di fluttuare nella loro sintomatologia ossessiva, che non sempre è uguale a se stessa, oppure di decidere, quando i costi percepiti in quello specifico momento di mettere in atto le compulsioni sopravanzano i costi di non metterle in atto, di procrastinare o di rinunciare definitivamente a quella compulsione . Ad esempio: se un soggetto con DOC è molto vulnerabile alla vergogna e sente che fare un rituale lo può mettere il ridicolo di fronte alla gente, può decidere di agire il rituale dopo o di non agirlo affatto. Questo dimostra che il soggetto ossessivo-compulsivo non è obbligato ad agire sempre e comunque la compulsione. Un altro aspetto importante della compulsione è rappresentato dalla conflittualità: spesso la persona con DOC racconta che è costretta a mettere in atto le compulsioni pur non volendolo, è come se vivesse una sorta di conflitto tra volontà in cui due forze opposte combattono tra di loro; in questo conflitto tuttavia, a vincere è quasi sempre la compulsione. Il comportamento autocritico tende invece a sopraggiungere non durante la compulsione, ma quando la stessa è già stata compiuta.

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NON SOLO COMPULSIONI

Il DSM dice che per una diagnosi di DOC devono essere presenti ossessioni, compulsioni o entrambe. Ma possono veramente esistere separate le une dalle altre? Gli studi dicono che circa il 96% delle persone con DOC riporta spontaneamente di avere sia ossessioni che compulsioni. Quando le compulsioni sono presenti, sono eseguite, deliberatamente per prevenire o neutralizzare la possibilità negativa oppure per ridurre il distress causato dalle ossessioni. Tuattavia talvolta capita che le ossessioni vengano raccontate senza compulsioni, questo può accadere per diversi motivi:

  • perché le compulsioni si sono automatizzate e non vengono più riconosciute come tali;
  • perchè la persona si vergogna;
  • perchè esistono altri tentativi di soluzione messi in atto per gestire le ossessioni: principalmente l’evitamento, la ricerca di rassicurazioni, la soppressione dei pensieri, la ruminazione. L’evitamento è frequentissimo e si realizza quando il soggetto non vuole adottare i comportamenti che ritiene essere associati alle situazioni temute: cerco di non pensarci, cerco di non uscire, non uso il gas, non mi faccio la doccia, ecc… Anche le richieste di rassicurazioni sono frequenti, possono essere rivolte a se stessi, agli altri (amici, conoscenti, medici, esperti o anche internet) e spesso ai familiari. Nell’ambito delle tentate soluzioni esiste poi la soppressione dei pensieri che rappresenta un meccanismo paradossale, perché dirsi non pensare ad una cosa equivale sostanzialmente al pensare proprio a quella cosa, quindi di solito produce un effetto contrario a quello desiderato. Infine è frequente la ruminazione. Esistono diversi tipi di ruminazione: quella in immaginazione (a causa del dubbio immagino scenari), quella retrospettiva (a causa del dubbio ripercorro i comportamenti che ho compiuto a ritroso alla ricerca di risposte), quelle anticipatorie sempre in immaginazione (a causa di un dubbio immagino cosa sarei disposto a fare se agissi la mia idea ossessiva. Eclatante è l’esempio di chi pensa di uccidere qualcuno e immagina la scena per capire se sarebbe disposto ad arrivare fino in fondo, fino a commettere veramente l’omicidio.), anche il “ragionamento classico” può essere un tipo di ruminazione. Tutte le ruminazioni ossessive tuttavia hanno una caratteristica specifica in comune: si tratta di ragionamenti dialettici che al centro dell’attenzione mettono l’ ipotesi negativa e cercano di falsificarla sistematicamente, cercano di rivedere tutti gli eventi in cui può essere vera e cercano di dimostrarsi che non è vera, inutile dire che questa ricerca può diventare infinita.

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Come psicologa, oltre al servizio di consulenza online  per chi non vive in Emilia,  ricevo in studio a San Polo di Torrile (Parma). Da oltre 10 anni ascolto ed aiuto le persone, concretamente, ad uscire dalle situazioni difficili, a fronteggiare le sfide esistenziali e a riprogettare il futuro.

In condizioni di sofferenza psicologica posso aiutarti a superare le tue difficoltà, accompagnandoti verso una consapevolezza rinnovata di te, dei tuoi bisogni, delle tue priorità e del tuo modo di “funzionare”. Posso aiutarti a ritrovare la serenità e il benessere, anche grazie alla proposta di tecniche di gestione dei pensieri intrusivi e disfunzionali e di gestione dello stress.

Dott.ssa Silvia Darecchio – contatti