La mente ossessiva: ossessioni e compulsioni

IL DOC

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Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è un disturbo grave ed invalidante che, se non diagnosticato e trattato, riduce molto la qualità della vita e la possibilità di realizzazione personale e professionale dell’individuo. Accade spesso infatti che le persone con DOC, a causa del loro disturbo, non riescano a studiare, a lavorare, a realizzarsi professionalmente, ad avere dei rapporti sociali adeguati e quindi a realizzarsi pienamente in termini umani più generali. Data la gravità del disturbo è importante quindi che sia diagnosticato e affrontato tempestivamente.

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DIFFUSIONE DEL DOC

Alcuni dati: circa il 2/3% della popolazione mondiale, life-time, ha il rischio di manifestare un disturbo ossessivo compulsivo, senza differenze in termini numerici tra maschi e femmine, che si ammalano di DOC più o meno in ugual misura.  Una leggera differenza si nota tra i bambini: accade infatti che tendano a manifestare maggiormente i sintomi i maschi rispetto alle femmine; diversamente nella popolazione adulta il DOC è “democraticamente” diffuso in egual misura tra i due sessi.

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ESORDIO

Nella maggioranza dei casi, il Disturbo Ossessivo Compulsivo compare per la prima volta durante l’adolescenza e nella prima età adulta, infatti i due picchi maggiori di incidenza tendono ad essere a 15 e a 25 anni. Capita frequentemente tuttavia che gli esordi siano ancora più precoci e che già i bambini, di circa 10 anni, manifestino i segni e i sintomi del disturbo. Sembra essere più raro, invece, l’ outset tardivo, in età più avanzata. L’esordio, oltre ad essere piuttosto precoce, è subdolo e ingravescente. Rispetto ad altri disturbi infatti, diversamente da quello che accade ad esempio nel disturbo da attacchi di panico che da un giorno all’altro erompe stravolgendo e paralizzando la vita della persona, ha un esordio lento, progressivo e sempre più limitante, fino al punto in cui la persona si sente profondamente condizionata nella realizzazione della propria vita. Il DOC infatti se non trattato tende a cronicizzarsi, tende cioè a non guarire spontaneamente; spesso però va incontro a delle “variazioni”. Il Disturbo Ossessivo Compulsivo cioè può “variare” nel corso del tempo: la sintomatologia può cambiare (attraversando i vari tipi di DOC), ma il nucleo del disturbo rimane invariato. Quindi, poichè interessa gravemente soggetti per lo più molto giovani, con una lunga aspettativa di vita, è importante fronteggiare efficacemente questo (sempre più diffuso) problema, non solo esistenziale, ma anche  sanitario.

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DSM V

Il DMS V (Manuale Diagnostico Statistico – Psichiatrico) individua fondamentalmente due criteri per la diagnosi del DOC:

  • la presenza di ossessioni o compulsioni; 
  • la presenza di ossessioni e compulsioni insieme.

Le ossessioni sono dei pensieri (degli impulsi o delle immagini) intrusivi, ricorrenti, persistenti, fortemente indesiderati e, per questo capaci di suscitare forte ansia, disgusto o disagio nel soggetto. La persona, una volta che ha questo pensiero (idea, immagine, impulso, ecc…) intrusivo inaccettabile, mette in atto delle strategie atte a gestirlo, quindi può cercare di ignorarlo, di sopprimerlo o di neutralizzarlo. Le compulsioni sono definite come comportamenti, tendenzialmente ripetitivi e ritualizzati, messi in atto per gestire l’idea ossessiva (e l’ansia, disgusto, disagio correlati). La persona con DOC può avere la compulsione a lavarsi le mani, a riordinare, a controllare, oppure a compiere azioni solo mentali (contare, pensare, ripetere mentalmente) a seconda del tipo di pensiero ossessivo che ha e del bilancio costi/benefici che fa.  Il soggetto non  solo si sente costretto a mettere in atto compulsioni per neutralizzare/ignorare/sopprimere il pensiero ossessivo ma spesso deve seguire, agendole, delle rigide regole di attuazione. Il DSM specifica che le compulsioni servono a ridurre l’ansia e il disagio che il pensiero intrusivo suscita. Capita che le persone adulte con DOC siano piuttosto critiche rispetto alle proprie compulsioni, definendole esagerate, assurde, motivo di vergogna, ecc… questo accade soprattutto quando sentono di essere lontane da quelle situazioni-stimolo che causano in loro ansia e disagio. Nei bambini invece ciò generalmente non accade: nei bambini la critica alle proprie compulsioni tende a non esserci: il bambino, se costretto da un ambiente rifiutante/giudicante , tende a preoccuparsi solo di agire le proprie compulsioni lontano da occhi indiscreti.  Il secondo criterio del DSM V è che le ossessioni e le compulsioni implichino un dispendio di tempo di almeno un’ora al giorno e causino un disagio significativo. Questo criterio è rilevante quando vengono fatte valutazione testologiche per definire la gravità del disturbo: devono essere presenti ossessioni e compulsioni per almeno un’ora al giorno, ovvero per un tempo significativamente lungo e questo perché la patologia è vista all’interno di un continuum tra normalità e patologia.

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LE OSSESSIONI

Le ossessioni vengono definite come dei pensieri intrusivi indesiderati, ovvero dei pensieri (delle idee, delle immagini, delle percezioni, delle sensazioni, ecc…) che compaiono nella mente della persona improvvisamente, in maniera del tutto scollegata dal suo stato mentale, dal contesto e dalla situazione vissuta. In realtà, analizzando i racconti dei soggetti con DOC, spesso capita di leggere tra le righe come le ossessioni non capitino, ma piuttosto come diventino l’oggetto di una “ricerca attiva”. Accade cioè, ad esempio, che la persona quando finalmente vuole stare tranquilla, dopo aver compiuto tutti i rituali, per potersi godere pienamente il relax, cominci deliberatamente a fare dei check mentali per verificare che tutto sia a posto, con pensieri del tipo: ” Ho trascurato qualcosa? Ci sono altre minacce? Sono in pericolo?” A questo punto si concretizza, a livello mentale, la possibilità dell’ eventuale contagio/pericolo/minaccia (e quindi dell’ agire i comportamenti atti ai ridurre l’ansia, il disagio, il disgusto correlati). A livello clinico bisogna quindi operare la discriminazione tra ossessioni “cercate”, frutto in realtà di check di controllo, ed ossessioni “improvvise”, che capitano dal nulla. Le ossessioni spesso sono vissute come indesiderate, poichè colpiscono la persona nei suoi valori più importanti. Ad esempio, per il soggetto fortemente religioso, avere in mente un pensiero di bestemmia, può diventare qualcosa di inaccettabile e lo può portare a mettere in discussione anche la propria identità: “Chi sono io? Sono o non sono quella persona che voglio e credo di essere?” Capita che siano pensieri in contrasto con l’immagine che la persona ha di sè stessa: “Ma perché mi preoccupo di cose così banali? Io sono una persona razionale! Perché mi sto preoccupando se questo cartellino è messo qui o li?” . Un aspetto significativo delle ossessioni riguarda il “continuum”: vari studi confermano come i pensieri intrusivi siano del tutto simili a quelli dei soggetti normali, infatti circa il 80% delle persone ha questo tipo di pensieri. Tuttavia le persone con ossessioni manifestano una frequenza maggiore di questi pensieri ed un connotato emotivo correlato più forte, mentre la qualità dei pensieri è fondamentalmente la stessa dei soggetti senza ossessioni. E’ importante cioè sottolineare come non esistano pensieri “solo degli ossessivi”. La differenza più rilevante, oltre alla frequenza e alle forti emozioni correlate, è rappresentata dal fatto che le persone non ossessive, in qualche modo, non considerano questi pensieri intrusivi così problematici e non si soffermano così tanto su di essi. Invece, i pazienti con ossessioni mettono in atto tutta una serie di condotte atte a risolvere il problema posto dall’ossessione, ma questo non fa altro che produrre un effetto paradossale: più ci si accanisce per mandare via le ossessioni, più si cerca di sopprimerle e più la frequenza con cui compaiono aumenta. Questo è uno dei tanti meccanismi a spirale che contraddistinguono il DOC. E’ utile sottolineare la differenza che esiste tra due tipi di ossessioni: le ossessioni endogene (dette anche autonome) che sono appunto quei pensieri, immagini, sensazioni o impulsi che intrudono nella mente del paziente e che sono per lui inaccettabili e le “ossessioni reattive” che sono tutti i dubbi e le valutazioni (ruminazioni) fatte a posteriori, derivanti dal pensiero ossessivo endogeno stesso. Le ossessioni endogene infatti tendono a portare la persona a produrre tutta una serie di comportamenti, più o meno ritualizzati, finalizzati alla riduzione del correlato emotivo associato (ansia, disagio, disgusto), tra essi troviamo le ruminazioni (ossessioni reattive), le eliminazioni o evitamenti, le richieste di rassicurazioni e le compulsioni vere e proprie.

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LE COMPULSIONI

Le compulsioni sono comportamenti messi in atto a causa di un pensiero ossessivo e, come dice il DSM 5, possono essere “overt” o “covert”. Overt cioè esplicite, chiare, misurabili osservabili, ma anche mentali, ovvero covert, come lo sono il pregare, il contare, il ripetere formule o parole. Le compulsioni sono quindi azioni visibili o meno che il soggetto mette in atto per ridurre il forte correlato emotivo suscitato dal pensiero ossessivo. Un’ importante precisazione riguarda quindi la funzione delle compulsioni. Accade infatti che la compulsività sia una caratteristica associabile anche ad altri comportamenti, come accade ad esempio nello “shopping compulsivo” (un tipo di shopping “sfrenato” fatto senza reali necessità), in questo caso tuttavia, lo scopo primario dell’acquisto è di produrre un piacere, una gratificazione, non di ridurre un forte stato emotivo di ansia/disagio/disgusto. Altre caratteristiche delle compulsioni sono l’ insistenza, la ripetitività e la ritualizzazione. La ritualizzazione delle compulsioni può renderle estremamente invalidanti per il soggetto, perché implica che debbano essere compiute in un unico specifico modo e per un numero specifico di volte. Ad esempio: se la persona sente il bisogno di essere sicura di aver chiuso il rubinetto del gas, dovrà chiudere quel rubinetto e tutti i rubinetti del gas di casa uno alla volta, in una modalità precisa per un numero specifico di volte di seguito; sarà sufficiente che si distragga o abbia un dubbio, per sentire di dover ricominciare dall’inizio tutto il rituale di chiusura dei rubinetti, e di ripeterlo ancora e ancora, allorchè intervenisse di nuovo il dubbio. I rituali compulsivi diventano quindi molto lunghi e faticosi perchè le sensazioni di dubbio, di interruzione dell’attenzione, di inadeguatezza degli atti, ecc… accadono frequentemente, sia perché i rituali si protraggono a lungo tendendo ad affaticare l’apparato cognitivo, sia (e soprattutto) perchè, in buona sostanza, il dubbio è più potente della percezione stessa. Altri aspetti delle compulsioni: sono fluttuanti, “motivate” ed intenzionali (hanno un fine). Molto spesso infatti le persone con DOC raccontano di fluttuare nella loro sintomatologia ossessiva, che non sempre è uguale a se stessa, oppure di decidere, quando i costi percepiti in quello specifico momento di mettere in atto le compulsioni sopravanzano i costi di non metterle in atto, di procrastinare o di rinunciare definitivamente a quella compulsione . Ad esempio: se un soggetto con DOC è molto vulnerabile alla vergogna e sente che fare un rituale lo può mettere il ridicolo di fronte alla gente, può decidere di agire il rituale dopo o di non agirlo affatto. Questo dimostra che il soggetto ossessivo-compulsivo non è obbligato ad agire sempre e comunque la compulsione. Un altro aspetto importante della compulsione è rappresentato dalla conflittualità: spesso la persona con DOC racconta che è costretta a mettere in atto le compulsioni pur non volendolo, è come se vivesse una sorta di conflitto tra volontà in cui due forze opposte combattono tra di loro; in questo conflitto tuttavia, a vincere è quasi sempre la compulsione. Il comportamento autocritico tende invece a sopraggiungere non durante la compulsione, ma quando la stessa è già stata compiuta.

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NON SOLO COMPULSIONI

Il DSM dice che per una diagnosi di DOC devono essere presenti ossessioni, compulsioni o entrambe. Ma possono veramente esistere separate le une dalle altre? Gli studi dicono che circa il 96% delle persone con DOC riporta spontaneamente di avere sia ossessioni che compulsioni. Quando le compulsioni sono presenti, sono eseguite, deliberatamente per prevenire o neutralizzare la possibilità negativa oppure per ridurre il distress causato dalle ossessioni. Tuattavia talvolta capita che le ossessioni vengano raccontate senza compulsioni, questo può accadere per diversi motivi:

  • perché le compulsioni si sono automatizzate e non vengono più riconosciute come tali;
  • perchè la persona si vergogna;
  • perchè esistono altri tentativi di soluzione messi in atto per gestire le ossessioni: principalmente l’evitamento, la ricerca di rassicurazioni, la soppressione dei pensieri, la ruminazione. L’evitamento è frequentissimo e si realizza quando il soggetto non vuole adottare i comportamenti che ritiene essere associati alle situazioni temute: cerco di non pensarci, cerco di non uscire, non uso il gas, non mi faccio la doccia, ecc… Anche le richieste di rassicurazioni sono frequenti, possono essere rivolte a se stessi, agli altri (amici, conoscenti, medici, esperti o anche internet) e spesso ai familiari. Nell’ambito delle tentate soluzioni esiste poi la soppressione dei pensieri che rappresenta un meccanismo paradossale, perché dirsi non pensare ad una cosa equivale sostanzialmente al pensare proprio a quella cosa, quindi di solito produce un effetto contrario a quello desiderato. Infine è frequente la ruminazione. Esistono diversi tipi di ruminazione: quella in immaginazione (a causa del dubbio immagino scenari), quella retrospettiva (a causa del dubbio ripercorro i comportamenti che ho compiuto a ritroso alla ricerca di risposte), quelle anticipatorie sempre in immaginazione (a causa di un dubbio immagino cosa sarei disposto a fare se agissi la mia idea ossessiva. Eclatante è l’esempio di chi pensa di uccidere qualcuno e immagina la scena per capire se sarebbe disposto ad arrivare fino in fondo, fino a commettere veramente l’omicidio.), anche il “ragionamento classico” può essere un tipo di ruminazione. Tutte le ruminazioni ossessive tuttavia hanno una caratteristica specifica in comune: si tratta di ragionamenti dialettici che al centro dell’attenzione mettono l’ ipotesi negativa e cercano di falsificarla sistematicamente, cercano di rivedere tutti gli eventi in cui può essere vera e cercano di dimostrarsi che non è vera, inutile dire che questa ricerca può diventare infinita.

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Come psicologa, oltre al servizio di consulenza online  per chi non vive in Emilia,  ricevo in studio a San Polo di Torrile (Parma). Da oltre 10 anni ascolto ed aiuto le persone, concretamente, ad uscire dalle situazioni difficili, a fronteggiare le sfide esistenziali e a riprogettare il futuro.

In condizioni di sofferenza psicologica posso aiutarti a superare le tue difficoltà, accompagnandoti verso una consapevolezza rinnovata di te, dei tuoi bisogni, delle tue priorità e del tuo modo di “funzionare”. Posso aiutarti a ritrovare la serenità e il benessere, anche grazie alla proposta di tecniche di gestione dei pensieri intrusivi e disfunzionali e di gestione dello stress.

Dott.ssa Silvia Darecchio – contatti

Coronavirus emergenza psicologica: IL TRAUMA

Il covid-19 ha avuto e ha un impatto traumatico sull’assetto psicologico degli individui. Un trauma, infatti, può essere definito come uno strappo improvviso ed imprevedibile dell’integrità psichica del soggetto, capace di provocarne un’alterazione delle capacità di adattamento. 

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COSA E’ UN’EMERGENZA

In Italia, dopo settimane di relativa calma dall’annuncio dell’esistenza nel mondo di una nuova forma virale, si è scoperto,  grazie (purtroppo) alle gravi condizioni di salute del povero “paziente 1”, che il  virus stava già da tempo diffondendosi pressoché indisturbato tra la popolazione del nord del Paese. In pochi giorni la situazione ha rivelato i suoi veri contorni, fino a rappresentare, per le Regioni più colpite, una vera e propria emergenza sanitaria, sociale, psicologica ed economica.

Ma cos’è un’emergenza? Con il termine emergenza, ci si riferisce solitamente a tutte quelle situazioni impreviste ed improvvise che possono minacciare l’integrità fisica e psichica dell’individuo.


LA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA

Ancora una volta la Psicologia, in particolare la Psicologia dell’Emergenza, ci viene in aiuto per affrontare al meglio l’emergenza rappresentata dall’epidemia di covid-19. La Psicologia dell’emergenza, si connota come quell’ambito volto alla ricerca, alla pratica e all’applicazione delle conoscenze psicologiche nei contesti di emergenza, ossia tutte quelle situazioni fortemente stressanti, che mettono a repentaglio il benessere del singolo o dell’intera comunità. La psicologia dell’emergenza studia il comportamento degli esseri umani in situazioni estreme. Tale disciplina, raccogliendo stimoli da settori come la psichiatria e la sociologia, cerca di fornire delle risposte a situazioni non ordinarie, come quella rappresentata dalla pandemia che stiamo vivendo e che non possono essere trattate semplicemente con l’applicazione del metodo clinico.

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LA PSICOTRAUMATOLOGIA

La psicotraumatologia è, poi, quella branca della Psicologia dell’Emergenza che si occupa dello studio del trauma psicologico, cioè delle situazioni in cui le reazioni ad un evento acuto e potenzialmente traumatico si cristallizzino e strutturano in sintomi psicologici clinicamente significativi, identificabili come un Disturbo (ASD: ACUTE STRESS DISORDER O PTSD: POST TRAUMATIC STRESS DISORDER). La psicotraumatologia indaga, cioè, le situazioni traumatiche e le reazioni delle persone ad esse. A livello operativo si realizza nel trattamento del trauma psicologico.

Il trauma psicologico può essere definito, in modo sintetico, come uno strappo improvviso ed imprevedibile dell’integrità psichica, capace di provocare un’alterazione nel tempo delle capacità di adattamento del soggetto. 
La ricerca ha dimostrato che a seguito di un evento stressante in alcune persone c’è un’interruzione del normale modo di processare l’informazione da parte del cervello. Questo avviene perché l’impatto stressante dell’evento è annichilente e impedisce all’individuo, in quel momento, di elaborarlo ed integrarlo in un sistema di significato coerente. Importanti aspetti della definizione di “trauma psicologico” sono:

  • le  emozioni di intensità estrema,
  • la perdita di controllo,
  • l’impotenza.

L’interruzione del normale modo di processare l’informazione determina il fallimento nel creare una memoria coerente dell’esperienza, infatti il ricordo, le sensazioni fisiche ed emotive e i pensieri associati all’evento traumatico non riescono ad essere integrati con le altre esperienze vissute.

Dopo il trauma può svilupparsi, in alcuni casi, un PTSD, cioè un Disturbo Post Traumatico da Stress. Nel DSM 5 ( il Manuale Statistico Diagnostico) il PTSD è definito secondo alcuni criteri peculiari, tra i quali:

  • l’esposizione a una situazione di forte minaccia alla vita o all’integrità fisica, per sé stessi o per gli altri;
  • la possibile comparsa di pensieri intrusivi o dissociazioni;
  • l’ impossibilità a provare emozioni positive;
  • i sintomi di evitamento, sia a livello cognitivo che comportamentale;
  • l’ irritabilità;
  • la difficoltà di concentrazione;
  • l’ipervigilanza.

È importante sottolineare tuttavia che la maggior parte delle persone, anche se esposta a eventi potenzialmente traumatici, ha reazioni emotive transitorie che solo raramente si trasformano in un vero e proprio disturbo strutturato.


Se questa emergenza sanitaria e psicologica, rappresentata dall’ epidemia di COVID-19, ha risvegliato in te uno stato d’ansia antico o nuovo; se ti rendi conto che ti mancano, o stanno venendo meno, gli strumenti psicologici per fronteggiare la quotidianità e la condizione di isolamento; se non riesci a riposare perchè il tuo stato di attivazione interno non ti consente il rilassamento; se piangi spesso; se ti senti tormentato da pensieri scuri che non ti lasciano mai; se pensi di soffrire di un Disturbo Acuto da Stress o di un Disturbo Post Traumatico da Stress puoi chiamare il 3206259427. Gratuitamente riceverai una consulenza telefonica: “PSICOLOGIA & BENESSERE”,  infatti,  aderisce a questa iniziativa nazionale https://www.psy.it/psicologionline-la-professione-psicologica-a-disposizione-dei-cittadini.html. promossa dal CNOP (Consiglio Nazionale  Ordine Psicologi) per far fronte all’emergenza psicologica rappresentata dal COVID-19.

Difficoltà psicologiche post-partum

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Dopo il parto:

  • circa l’80% delle neo-mamme soffre di una lieve forma di tristezza (baby blues);
  • il 10-20% delle mamme va incontro a una vera e propria depressione.

Sintomi e segni del “baby blues” 

Le neo-mamme, frequentemente, sono portate a sottovalutare, minimizzare o nascondere i sintomi del “baby-blues”, spesso per corrispondere ad una edulcorata idea sociale di maternità, vista solo come un paradiso incantato. La nascita di un bambino (e quindi di una mamma) è un evento di per sé molto felice e il senso comune ha difficoltà a capire perché una neomamma, che magari ha desiderato tanto quel figlio, dovrebbe stare male in un momento così meraviglioso. Tuttavia non solo è possibile ma è anche frequente. Alcuni segnali possono aiutare a capire che qualcosa sta “andando storto”..

Il pediatra e psicoanalista Donald Winnicott ha definito il “baby blues” o “maternity blues” (che letteralmente significa “la malinconia della maternità”) lo stato di malessere psicologico che caratterizza i giorni successivi al parto. Tale reazione di lieve entità, è chiamata anche “malinconia dei quattro giorni” in quanto si presenta in genere 3-4 giorni dopo la nascita del bambino, e dura, al massimo, una settimana, durante la quale prevale un sentimento di tristezza. Non è un vero e proprio disturbo, ma una condizione quasi fisiologica e molto frequente, caratterizzata da quadri sintomatologici vari. Tuttavia è una reazione normale e non preoccupante.  I sintomi, oltre alla tristezza, sono:

  • sbalzi di umore con facile tendenza al pianto
  • irritabilità
  • ansia
  • difficoltà di memoria e di concentrazione
  • insonnia
  • inappetenza

Nella grande maggioranza dei casi questo stato di tristezza se ne va da solo, stando vicino alla mamma, sostenendola, cercando di aiutarla se ha qualche difficoltà (per esempio con l’allattamento) e, se è già tornata a casa dall’ospedale, dandole modo di non affaticarsi troppo e di concentrarsi sul bambino.

Cause e fattori di rischio

A entrare in gioco sono soprattutto:

  • i bruschi cambiamenti ormonali che intervengono subito dopo il parto,
  • il forte stress psico-fisico legato al travaglio e al parto,
  • la fatica fisica,
  • una normale ansia legata all’aumento della responsabilità,
  • l’eventuale presenza di contrasti con il compagno e i familiari, rispetto alla gestione del piccolo.

 

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Sintomi e segni della Depressione post-partum

A volte la tristezza persiste e diventa una vera e propria Depressione. La Depressione post-partum, Depressione post-natale o Depressione puerperale è un disturbo dell’umore che colpisce il 10-20% delle donne. I primi sintomi possono comparire già nella 3-4 settimana successiva al parto, manifestandosi clinicamente tra il quarto e il sesto mese, con segnalazioni di casi anche fino ai nove mesi dal parto, e può perdurare per un anno intero. Il disturbo non è da confondere con la più grave “psicosi puerperale”, accompagnata da sintomatologie di tipo psicotico. Per fare una diagnosi di Depressione post-partum è necessario individuare almeno cinque sintomi tra i seguenti per un arco di tempo di almeno due settimane:

  • tristezza
  • pianti frequenti
  • indolenza
  • disturbi del sonno
  • irritabilità
  • tensione e panico
  • pensieri ossessivi o confusi
  • senso di isolamento
  • sentimenti di colpa e di inutilità, bassa autostima, impotenza e disvalore
  • ansia, paura e fobie (e relativi connotati somatici)
  • perdita del desiderio sessuale
  • anedonia (perdita di piacere)
  • astenia (perdita di energie)
  • riduzione della concentrazione
  • pensieri ricorrenti di morte e/o progettualità di suicidio
  • agitazione o rallentamento psicomotorio.

Alcune donne possono presentare solo alcuni di questi sintomi senza soddisfare i criteri per la diagnosi di depressione post-partum. Si può trattare infatti di altri disturbi come il Disturbo dell’Adattamento con umore depresso.

 

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Cause e fattori di rischio

Per quanto riguarda la Depressione post parto, le cause non sono del tutto note. Probabilmente i cambiamenti ormonali tipici della gravidanza e del periodo successivo alla nascita, costituiscono un substrato biologico sul quale si innestano altri fattori.

I principali fattori di rischio, elencati dalla letteratura scientifica per la depressione post parto, sono:

  • ansia o depressione durante la gravidanza;
  • ansia e depressione in precedenza;
  • familiarità per disturbi psichiatrici;
  • situazioni molto stressanti (lutto, separazione, perdita del lavoro, ecc…);
  • scarso supporto familiare o sociale (precarietà dei rapporti affettivi e mancanza di reti sociali);
  • difficoltà o precarietà economiche;
  • disturbi della funzionalità tiroidea.

Fattori protettivi

Alcuni comportamenti agiscono come fattori protettivi contro il manifestarsi della depressione. Magari non possono prevenirla del tutto, ma possono attenuarla, o aiutare la donna ad affrontarla meglio, dandole forza e sostegno. Vediamo quali sono:

  • buon riposo nelle prime settimane dopo il parto: la mamma deve cercare di dormire il più possibile;
  • dieta adeguata, equilibrata, con alimenti ricchi di acidi grassi omega 3 e povera di eccitanti (come alcool e caffè).
  • buon apporto di vitamina D: per farne scorta basta una sana vita all’aria aperta;
  • buon rapporto con il parter, che proprio nelle prime settimane dopo il parto ha il compito delicato e bellissimo di affiancare la mamma e non lasciarla sola mentre “impara” il suo nuovo mestiere;
  • buona rete di familiari e amici che, per esempio, possono offrire un valido aiuto nei lavori domestici.

 

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Se…

Se ci si rende conto che qualcosa non va, che il tempo passa e sintomi come tristezza, angoscia, apatia, disturbi del sonno e così via non si allentano, la cosa migliore da fare è parlarne con qualcuno.  Prima si interviene, migliore è la prognosi.

 

Dott.ssa Silvia Darecchio  – Psicologa – San Polo di Torrile (Pr)  contatti

 

La Psicosomatica

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Definizione

La Psicosomatica è la disciplina che, indagando la relazione tra la mente e il corpo, ovvero ricercando la connessione tra il mondo emozionale e il soma, si colloca a metà strada tra la medicina e la psicologia (una sorta di “psicologia medica”). Nello specifico, la Psicosomatica ha lo scopo di rilevare e comprendere gli effetti che la psiche, la mente, produce sul soma, il corpo. Partendo dal presupposto che l’essere umano sia una inscindibile unità psicofisica  questa disciplina ha scoperto che per alcune patologie accanto ai fattori somatici giocano un ruolo importantissimo anche i fattori psicologici che ne influenzano il manifestarsi, lo sviluppo e il mantenimento. L’interconnessione tra un disturbo e la sua causa d’origine psichica si riallaccia quindi alla visione olistica dell’ essere umano, nella consapevolezza, cioè, che mente e corpo sono strettamente legati nell’ unità. La malattia, in quest’ottica,  viene concepita come il risultato di meccanismi che interagiscono a livello cellulare, personale, interpersonale e ambientale

I disturbi psicosomatici anatomy-254120__340.jpg

Il meccanismo che sta alla base dei disturbi psicosomatici è la necessità delle emozioni troppo dolorose di trovare uno sbocco. Quando le emozioni sono intollerabili spingono il corpo a manifestare il disagio in alcuni organi, chiamati organi bersaglio; l’ obbligatorietà ad esprimersi fa sì che queste emozioni trovino una via di scarico immediata nel corpo e che prendano la forma dei vari sintomi. I disturbi psicosomatici sono allora una difesa contro quelle emozioni ritenute inaccettabili e dolorose  che, causando un disagio psicologico, lo portano a “trovare la parola” direttamente nel corpo. Ad esempio, il risentimento, il rimpianto e la preoccupazione, così come altre emozioni cosiddette “negative”, possono mantenere il sistema nervoso autonomo (sistema simpatico) in uno stato di eccitazione e di emergenza per un tempo più lungo di quello che l’organismo è in grado di sopportare. I pensieri troppo angosciosi, cioè, possono mantenere il sistema nervoso autonomo in uno stato di attivazione persistente che può provocare dei danni agli organi più deboli (bersaglio).

Alcuni disturbi psicosomatici  

I disturbi di tipo psicosomatico possono manifestarsi:

  • nel sistema neurologico: vertigini, paralisi o ipostenia localizzate, deficit della coordinazione o dell’equilibrio;

  • nell’apparato gastrointestinale:  gastrite, ulcera peptica, difficoltà a deglutire o nodo alla gola, nausea, colon irritabile, dispepsia funzionale;
  • nell’apparato cardiocircolatorio: tachicardia, aritmie, cardiopatia ischemica, ipertensione essenziale;
  • nell’apparato respiratorio: asma bronchiale, sindrome iperventilatoria;
  • nell’apparato urogenitale: dolori mestruali, impotenza, eiaculazione precoce o anorgasmia, enuresi;
  • nel sistema cutaneo: psoriasi, acne, dermatite psicosomatica, iprurito, orticaria, secchezza della cute e delle mucose, sudorazione profusa
  • nel  sistema muscoloscheletrico:  cefalea tensiva, crampi muscolari, stanchezza cronica, torcicollo, fibromialgia, artrite,  dolori al rachide,  cefalea nucale, mal di schiena, articolazioni doloranti;
  • Sintomi psicosomatici sono comuni nella depressione e in quasi tutti i disturbi d’ansia. 

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I disturbi psicosomatici sono “patologie sistemico-funzionali”

I disturbi psicosomatici sono malattie che, causate e/o aggravate da fattori emozionali, come ogni altra forma patologica, comportano danni a livello organico. I sintomi psicosomatici coinvolgono il sistema nervoso autonomo e costituiscono una risposta vegetativa a situazioni di disagio psichico o di stress. Nello specifico, i disturbi psicosomatici derivano  dall’iper – attivazione del sistema nervoso autonomo (simpatico) il quale viene sottoposto a livelli di eccitazione per periodi lunghi, comportando modifiche neuro-chimiche importanti. Il continuo stato di attivazione ed eccitazione porta, inoltre, all’abbassamento delle difese immunitarie con il rischio aumentato di vulnerabilità alle malattie. Inoltre, a causa dello stato di eccitazione continua del sistema nervoso autonomo, possono insorgere complicazioni generalizzate quali malattie infiammatorie, autoimmuni e neuro-degenerative.  


PNEI

Uno degli indirizzi più promettenti della ricerca in psicosomatica, negli ultimi trent’anni, è la psico neuro endocrino immunologia (PNEI), che ha l’obiettivo di chiarire le relazioni tra il funzionamento psicologico, la secrezione di neuro-trasmettitori a livello cerebrale, gli ormoni da parte del sistema endocrino e il funzionamento del sistema immunitario.


Dott.ssa Silvia Darecchio  – Psicologa – San Polo di Torrile (Pr)  contatti

Il Disturbo Narcisistico di Personalità

Come capire se una persona soffre del Disturbo Narcisistico di Personalità? 

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Per capire se una persona soffre di Disturbo Narcisistico di Personalità devono essere  presenti almeno cinque tra i seguenti sintomi specifici,

sintomi della personalità narcisistica:

  • mancanza di empatia;
  • idee grandiose di sé (sentono di meritare un trattamento speciale, di avere particolari poteri, talenti, attrattività, di dover frequentare persone altrettanto speciali o di status elevato;
  • fantasie di successo illimitato (potere, fascino, bellezza o amore ideale);
  • tendenza a sentirsi svalutati (pensare di non essere sufficientemente apprezzati e riconosciuti nel valore);
  • senso di vuoto e apatia (nonostante eventuali successi);
  • richiesta eccessiva di ammirazione;
  • tendenza allo sfruttamento degli altri;
  • sentimenti di disprezzo, vergona o invidia;
  • atteggiamenti arroganti e presuntuosi.

Le parole chiave per questo disturbo sono “impulsività e instabilità”.

woman-3048525__340Caratteristiche psicologiche del Disturbo Narcisistico di Personalità

Le caratteristiche psicologiche degli individui con Disturbo Narcisistico di Personalità possono essere suddivise in termini di 1. visione di se stessi; 2. visione degli altri; 3. credenze intermedie e profonde;  e 4. strategie di affrontamento delle difficoltà.

  1. Visione di se stessi: io sono vulnerabile (all’abuso, al tradimento, alla trascuratezza); sono “difettoso”; “Sono cattivo”; “Non so chi sono”; “Sono debole e mi sento sovrastato”; “Non riesco ad aiutarmi”;
  2. Visione degli altri: gli altri anche se sono calorosi e affettuosi restano inaffidabili perché : “Sono forti e potrebbero essere di sostegno, ma dopo un po’ cambiare per ferirmi o abbandonarmi”;
  3. Credenze intermedie e profonde: credo che : “Devo sempre chiedere quello di cui ho bisogno”, “Devo rispondere quando mi sento attaccato”, “Lo devo fare perché devo sentirmi meglio”, “Se sono solo, non sarò in grado di affrontare la situazione”, “Se mi fido di qualcuno, questi prima o poi mi abbandonerà o abuserà e starò male”, “Se i miei sentimenti sono ignorati o trascurati, perderò il controllo”;
  4. Strategie di affrontamento delle difficoltà: se una situazione mi sovrasta mi sottometto, alterno l’inibizione ad una protesta drammatica, punisco gli altri, elimino la tensione con azioni autolesive.

Quali sono le cause del Disturbo?

Il disturbo narcisistico di personalità potrebbe essere causato da molteplici condizioni. La maggior parte delle ricerche sostiene l’idea che a causare tale sintomatologia concorrano fattori ereditari e ambientali.

Fattori ambientali:

  • IPOTESI 1:  genitori che credono nella superiorità del figlio, che premierebbero solo le qualità in grado di sostenere l’immagine grandiosa di sé e che garantiscono il successo.
  • IPOTESI 2:  ambiente familiare incapace di fornire al bambino le necessarie attenzioni e cure, di riconoscere, nominare e regolare le sue emozioni, nonché di sostenere la sua autostima o i suoi desideri. Questo tipo di contesto disfunzionale tenderebbe a sviluppare nel bambino l’idea di poter vivere facendo a meno degli altri e di poter contare unicamente su se stesso.
  • IPOTESI 3:  ambiente eccessivamente iperprotettivo che danneggia la fiducia del bambino in sé o anche un ambiente oltremodo permissivo e indulgente che comunica al bambino un senso di superiorità.
  • IPOTESI 4:  bambino vittima di offese e umiliazioni, soprattutto da parte dei coetanei, potrebbe far fronte alle continue minacce alla propria autostima sviluppando un senso di sé grandioso.

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Il disturbo e la quotidianità

Il disturbo narcisistico di personalità può compromettere ogni ambito della vita delle persone che ne soffrono: la professione, le relazioni e i rapporti di coppia. I narcisisti, infatti, quando non ricevono risposte alle loro continue richieste di ammirazione, di trattamenti di favore e alla soddisfazione immediata dei loro bisogni, possono divenire furiosi o mostrare disprezzo e distacco e, mancando di empatia, ricorrere alla manipolazione per raggiungere i propri scopi, fino alla messa in atto di comportamenti abusanti per riconquistare il potere che sentono di avere perduto. Se vengono criticati e se non ottengono il riconoscimento, che credono di meritare, possono reagire con rabbia o vergogna. Inoltre, poiché ritengono che lo status sociale ricopra un ruolo fondamentale nell’ esaltazione della propria immagine grandiosa, spesso si legano a persone famose o speciali che forniscono loro importanza di riflesso, sviluppando rapporti opportunistici e superficiali.  Gli altri, d’altro canto, sentendosi sfruttati, manipolati e non rispettati nei loro bisogni potrebbero decidere di allontanarli. Questi distacchi, confermando uno dei peggiori timori dei narcisisti, portano a periodi di forte ansia e depressione; per lo più gli unici sintomi, che riescono a motivare, chi soffre di questo disturbo di personalità, a cercare l’ aiuto di un professionista.

Le stime di prevalenza del Disturbo Narcisistico di Personalità nella popolazione generale sono dell’1% e interessa principalmente i maschi e i paesi capitalistici occidentali.

 


Dott.ssa Silvia Darecchio  – Psicologa – San Polo di Torrile (Pr)  contatti