Quando si tradisce, quando si è traditi.

Il tradimento è un evento forte e traumatico che si abbatte pesantemente sulla coppia, compromettendone gli equilibri e la stabilità; tradire il partner significa distruggere il “noi” , paradigma della relazione.

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L’etimologia della parola “tradire” è latina, deriva da “tradĕre” che significa “consegnare (ai nemici). In origine, infatti, il tradimento era un “fatto militare”. Successivamente il termine si è esteso anche ad altri ambiti, fino ad assumere il senso odierno. Ha conservato tuttavia connotati fortemente negativi e dispregiativi: “tradire” significa, infatti, “mancare di fedeltà”, “abbandonare (il vecchio) per consegnarsi (al nuovo)”.


Le fasi dell’amore e il tradimento

Il rapporto di coppia è caratterizzato, a meno di accordi differenti tra le parti, da esclusività (sessuale e sentimentale) e da un certo grado di dipendenza. I partner,  cioè, stipulano tacitamente un contratto basato sulla fiducia e sulla fedeltà; una sorta di patto segreto che implica il soddisfacimento dei bisogni e delle aspettative di entrambi.

  • All’inizio di una relazione sentimentale, quando si è sopraffatti dall’ innamoramento, è raro tradire. L’innamoramento rappresenta, infatti, la fase in cui si attivano le nostre proiezioni sul partner: si trasferiscono sull’altro i nostri ideali e le nostre caratteristiche. Per questo il partner ci appare tanto unico e speciale ed essere infedeli, a quest’essere che incarna così perfettamente i nostri ideali, è un qualcosa che neppure ci sfiora. Tuttavia accade spesso che i desideri e le fantasie nascenti nell’innamoramento si trasformino in una prigione psichica per colui/colei che viene desiderato e “fantasticato”, e in una cocente delusione per colui/colei che ha fortemente idealizzato l’altro/a.
  • Quando si passa alla fase dell’amore adulto e maturo  l’altro viene visto per quello che è, con tutti i suoi difetti e le sue debolezze; crollano le proiezioni, le fantasie e la realtà dell’altro prende corpo. I bisogni e le aspettative disattesi, per alcuni individui, annullano il vincolo; pensare, cioè, che l’altro/a abbia fallito totalmente, nel renderli felici, significa la rottura del patto e la fine del progetto di vita insieme. In questa fase è elevatissima la probabilità di tradire, soprattutto in chi non sa affrontare la delusione della realtà, in chi ha troppo idealizzato il partner e non riesce a sostenere la maturità della costruzione di una coppia, meno idilliaca, ma più stabile, duratura ed appagante.

Le fasi della vita e il tradimento

  • ADOLESCENZA: nell’adolescenza il tradimento rappresenta il tentativo del soggetto
    di affermare la propria libertà, il proprio spazio di vita, i propri confini psicologici. L’adolescente manifesta con il tradimento del partner, inconsapevolmente, il rifiuto della dipendenza dai genitori. L’adolescenza, cioè, oltre ad essere una fase di sperimentazione sessuale, esprime, attraverso il tradimento, la volontà di affermare autonomia, a discapito di un’ unione che richiama quella simbiotica con i genitori. Attraverso l’infedeltà, inoltre, l’adolescente ricerca la conferma, narcisistica, del proprio valore e del proprio fascino, di cui ha disperato bisogno, in una fase delicata di costruzione dell’identità.

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  • “PRIMA” MATURITA’: per il giovane adulto (o comunque per il “giovane matrimonio”), che sta costruendo un nuovo nucleo familiare assumendosi impegni di convivenza e di costruzione di un progetto di coppia stabile, il tradimento esprime il bisogno interiore di rifuggire dagli impegni e dalle responsabilità che le decisioni assunte, comportano.
  • PIENA MATURITA‘: dopo anni di matrimonio, il tradimento rappresenta una gratificazione, narcisistica, nel confermare a se stessi il proprio fascino, nonostante l’età. L’uomo maturo tende a cercare avventure con donne più giovani per dimostrare a se stesso di essere ancora piacente e per poter vivere una seconda giovinezza. Similmente, per la donna matura il tradimento risponde al bisogno di veder confermata la propria femminilità, trasformata dai cambiamenti biologici ed ormonali.

Bisogni psicologici e tradimento.

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Le cause del tradimento sono sempre soggettive e specifiche, tuttavia, possono essere riconosciute delle macro-categorie di bisogni psicologici, generici e trans-generazionali, che portano i partner a scegliere il tradimento:

  • il BISOGNO DI CONFERMA: i soggetti, caratterizzati da un profilo psicologico insicuro e immaturo, tradiscono perché necessitano di costanti rassicurazioni e di  prove da superare. Vogliono cioè dimostrare a loro stessi di essere indiscutibilmente desiderabili e seducenti.
  • il BISOGNO DI PROVARE FORTI EMOZIONI SESSUALI: il bisogno di provare forti emozioni sessuali rispetto alla qualità dei rapporti sessuali vissuti con un partner di lunga data, magari poco soddisfacenti.
  • il BISOGNO DI INDIPENDENZA: l’infedeltà può rappresentare una difesa contro la paura di fusione che l’intimità di coppia evoca, oppure esprimere il rigetto della sensazione di essere dipendenti dal proprio partner.
  • il BISOGNO DI “DENUNCIARE” L’ INSUFFICIENZA DELLA RELAZIONE DI COPPIA, MANTENENDO UNA FACCIATA SOCIALE: il tradimento, spesso, è lo strumento attraverso cui si esternano all’altro tutti i problemi e le incomprensioni che sono rimasti celati, per non sconvolgere l’armonia della famiglia, nel tentativo disperato ed inconcludente di mantenere un’apparente facciata sociale. In questo caso l’infedele, che ha tenuto per sè i malcontenti rispetto alla relazione, non è stato in grado o non ha voluto instaurare un dialogo autentifico, atto risolvere le difficoltà di coppia.
  • il BISOGNO DI RIEMPIRE UN VUOTO ESISTENZIALE: alcune persone vivono il tradimento come un antidepressivo: una sorta di compensazione, funzionale a colmare dei vuoti profondi dettati dalla solitudine o da una perenne insoddisfazione interiore.
  • il BISOGNO DI CRESCITA: il tradimento può rappresentare anche una tappa del  percorso di maturazione e di evoluzione personale che può interessare  solo uno dei due partner. Se un membro della coppia ha affrontato un’esperienza prepotentemente trasformativa può accadere che anche lo schema di sé  sia cambiato e che siano emersi nuove priorità e nuovi bisogni che l’altro/a non è più in grado di soddisfare.
  • il BISOGNO DI TENERE SEPARATE LA SFERA AFFETTIVA DA QUELLA SESSUALE: esistono “traditori seriali”, individui per i quali essere infedeli rappresenta una costante. Spesso questi soggetti attuano una scissione tra sessualità e affettività, che diventano due dimensioni inconciliabili nella stessa relazione. Questo accade spesso negli uomini sposati che frequentano prostitute.

Vissuti psicologici del “tradito” e del “traditore”

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Certamente lo stato psicologico e i sentimenti provati dal partner infedele e da quello tradito sono molto diversi fra loroIl soggetto tradito, inizialmente, è fortemente sconvolto: il tradimento infatti rade al suolo le certezze e fa si che l’insicurezza e il senso di devastazione prevalgano. Può accadere anche che nella mente della persona tradita si creino pensieri ossessivi ed intrusivi circa il tradimento, morbosità rispetto ai dettagli dell’ “altra relazione”, urgenze di vario tipo. La ferita che lascia il tradimento è difficile che si rimargini completamente poichè resta, oltre alla  delusione, la consapevolezza che la fiducia sia stata compromessa. Permane la sensazione che nulla potrà essere come prima.  Se , tuttavia, sono presenti volontà e desiderio di continuare in entrambi, è possibile recuperare una “relazione tradita”. “Il tradito”, infatti, con il tempo e con un adeguato supporto, può trovare nel perdono dell’altro, quell’amore che aiuterà anche l’ “ex traditore”, a recuperare lo slancio per la continuazione del rapporto. Il “traditore”, che in un primo momento vive fortissimi sentimenti di colpa, da parte sua, grazie ad percorso di sostegno psicologico e forte di nuove consapevolezze, può trovare più di un motivo per riconquistare il  compagno/a e per ricominciare, da zero, a costruire la relazione.


In conclusione

L’ individuo, nella società del consumismo sessuale e sentimentale, è sempre più incline a salvaguardare i propri interessi personali rispetto a quelli della coppia. Se, nella relazione, qualche bisogno non viene corrisposto, pare che ognuno abbia il diritto di cercarne il soddisfacimento, in modo immediato e completo, con un altro partner, senza troppi pentimenti. Il sacrificio e l’impegno necessari per  la  realizzazione del progetto di coppia; la volontà di preservare il legame in crisi, attraverso il dialogo ed il compromesso, rappresentano aspetti di poco valore se rapportati all’ individualismo imperante, che oggi  tutto può. A seguito di un tradimento, tuttavia, non tutto è perduto, allorché ci sia l’intenzione di entrambi di proseguire e di valorizzare il rapporto, è possibile, non solo recuperare la relazione ma anche darle un senso nuovo.

Intraprendere un percorso psicologico di coppia (o individuale per entrambi) significa:

  • mettersi in gioco;
  • impegnarsi concretamente per dare alla relazione una chance, soprattutto se sono coinvolti dei bambini;
  • dare priorità al rapporto;
  • investire energie nella relazione;
  • acquisire delle competenze relazionali (atte a realizzare una comunicazione sincera,  costruttiva, in grado di esprimere in modo assertivo bisogni e insoddisfazioni);
  • imparare ad essere sinceri ed autentici con il partner;
  • imparare a realizzare un dialogo di coppia costante ed efficace (che consenta di ripartire insieme cresciuti, per vivere una nuova relazione, finalmente solida e soddisfacente).

 

Come psicologa, oltre al servizio di consulenza online, ricevo in studio a San Polo di Torrile (Parma). Da oltre 10 anni ascolto ed aiuto le persone, concretamente, ad uscire dalle situazioni difficili, a fronteggiare le sfide esistenziali e a riprogettare il futuro.

In condizioni di stallo motivazionale e sofferenza psicologica posso aiutarti a superare le tue difficoltà, accompagnandoti verso una consapevolezza rinnovata di te, dei tuoi bisogni, delle tue priorità e del tuo modo di “funzionare”. Posso aiutarti a ritrovare la serenità e  il benessere.

Dott.ssa Silvia Darecchio – contatti

 

Difficoltà psicologiche post-partum

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Dopo il parto:

  • circa l’80% delle neo-mamme soffre di una lieve forma di tristezza (baby blues);
  • il 10-20% delle mamme va incontro a una vera e propria depressione.

Sintomi e segni del “baby blues” 

Le neo-mamme, frequentemente, sono portate a sottovalutare, minimizzare o nascondere i sintomi del “baby-blues”, spesso per corrispondere ad una edulcorata idea sociale di maternità, vista solo come un paradiso incantato. La nascita di un bambino (e quindi di una mamma) è un evento di per sé molto felice e il senso comune ha difficoltà a capire perché una neomamma, che magari ha desiderato tanto quel figlio, dovrebbe stare male in un momento così meraviglioso. Tuttavia non solo è possibile ma è anche frequente. Alcuni segnali possono aiutare a capire che qualcosa sta “andando storto”..

Il pediatra e psicoanalista Donald Winnicott ha definito il “baby blues” o “maternity blues” (che letteralmente significa “la malinconia della maternità”) lo stato di malessere psicologico che caratterizza i giorni successivi al parto. Tale reazione di lieve entità, è chiamata anche “malinconia dei quattro giorni” in quanto si presenta in genere 3-4 giorni dopo la nascita del bambino, e dura, al massimo, una settimana, durante la quale prevale un sentimento di tristezza. Non è un vero e proprio disturbo, ma una condizione quasi fisiologica e molto frequente, caratterizzata da quadri sintomatologici vari. Tuttavia è una reazione normale e non preoccupante.  I sintomi, oltre alla tristezza, sono:

  • sbalzi di umore con facile tendenza al pianto
  • irritabilità
  • ansia
  • difficoltà di memoria e di concentrazione
  • insonnia
  • inappetenza

Nella grande maggioranza dei casi questo stato di tristezza se ne va da solo, stando vicino alla mamma, sostenendola, cercando di aiutarla se ha qualche difficoltà (per esempio con l’allattamento) e, se è già tornata a casa dall’ospedale, dandole modo di non affaticarsi troppo e di concentrarsi sul bambino.

Cause e fattori di rischio

A entrare in gioco sono soprattutto:

  • i bruschi cambiamenti ormonali che intervengono subito dopo il parto,
  • il forte stress psico-fisico legato al travaglio e al parto,
  • la fatica fisica,
  • una normale ansia legata all’aumento della responsabilità,
  • l’eventuale presenza di contrasti con il compagno e i familiari, rispetto alla gestione del piccolo.

 

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Sintomi e segni della Depressione post-partum

A volte la tristezza persiste e diventa una vera e propria Depressione. La Depressione post-partum, Depressione post-natale o Depressione puerperale è un disturbo dell’umore che colpisce il 10-20% delle donne. I primi sintomi possono comparire già nella 3-4 settimana successiva al parto, manifestandosi clinicamente tra il quarto e il sesto mese, con segnalazioni di casi anche fino ai nove mesi dal parto, e può perdurare per un anno intero. Il disturbo non è da confondere con la più grave “psicosi puerperale”, accompagnata da sintomatologie di tipo psicotico. Per fare una diagnosi di Depressione post-partum è necessario individuare almeno cinque sintomi tra i seguenti per un arco di tempo di almeno due settimane:

  • tristezza
  • pianti frequenti
  • indolenza
  • disturbi del sonno
  • irritabilità
  • tensione e panico
  • pensieri ossessivi o confusi
  • senso di isolamento
  • sentimenti di colpa e di inutilità, bassa autostima, impotenza e disvalore
  • ansia, paura e fobie (e relativi connotati somatici)
  • perdita del desiderio sessuale
  • anedonia (perdita di piacere)
  • astenia (perdita di energie)
  • riduzione della concentrazione
  • pensieri ricorrenti di morte e/o progettualità di suicidio
  • agitazione o rallentamento psicomotorio.

Alcune donne possono presentare solo alcuni di questi sintomi senza soddisfare i criteri per la diagnosi di depressione post-partum. Si può trattare infatti di altri disturbi come il Disturbo dell’Adattamento con umore depresso.

 

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Cause e fattori di rischio

Per quanto riguarda la Depressione post parto, le cause non sono del tutto note. Probabilmente i cambiamenti ormonali tipici della gravidanza e del periodo successivo alla nascita, costituiscono un substrato biologico sul quale si innestano altri fattori.

I principali fattori di rischio, elencati dalla letteratura scientifica per la depressione post parto, sono:

  • ansia o depressione durante la gravidanza;
  • ansia e depressione in precedenza;
  • familiarità per disturbi psichiatrici;
  • situazioni molto stressanti (lutto, separazione, perdita del lavoro, ecc…);
  • scarso supporto familiare o sociale (precarietà dei rapporti affettivi e mancanza di reti sociali);
  • difficoltà o precarietà economiche;
  • disturbi della funzionalità tiroidea.

Fattori protettivi

Alcuni comportamenti agiscono come fattori protettivi contro il manifestarsi della depressione. Magari non possono prevenirla del tutto, ma possono attenuarla, o aiutare la donna ad affrontarla meglio, dandole forza e sostegno. Vediamo quali sono:

  • buon riposo nelle prime settimane dopo il parto: la mamma deve cercare di dormire il più possibile;
  • dieta adeguata, equilibrata, con alimenti ricchi di acidi grassi omega 3 e povera di eccitanti (come alcool e caffè).
  • buon apporto di vitamina D: per farne scorta basta una sana vita all’aria aperta;
  • buon rapporto con il parter, che proprio nelle prime settimane dopo il parto ha il compito delicato e bellissimo di affiancare la mamma e non lasciarla sola mentre “impara” il suo nuovo mestiere;
  • buona rete di familiari e amici che, per esempio, possono offrire un valido aiuto nei lavori domestici.

 

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Se…

Se ci si rende conto che qualcosa non va, che il tempo passa e sintomi come tristezza, angoscia, apatia, disturbi del sonno e così via non si allentano, la cosa migliore da fare è parlarne con qualcuno.  Prima si interviene, migliore è la prognosi.

 

Dott.ssa Silvia Darecchio  – Psicologa – San Polo di Torrile (Pr)  contatti

 

La Psicosomatica

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Definizione

La Psicosomatica è la disciplina che, indagando la relazione tra la mente e il corpo, ovvero ricercando la connessione tra il mondo emozionale e il soma, si colloca a metà strada tra la medicina e la psicologia (una sorta di “psicologia medica”). Nello specifico, la Psicosomatica ha lo scopo di rilevare e comprendere gli effetti che la psiche, la mente, produce sul soma, il corpo. Partendo dal presupposto che l’essere umano sia una inscindibile unità psicofisica  questa disciplina ha scoperto che per alcune patologie accanto ai fattori somatici giocano un ruolo importantissimo anche i fattori psicologici che ne influenzano il manifestarsi, lo sviluppo e il mantenimento. L’interconnessione tra un disturbo e la sua causa d’origine psichica si riallaccia quindi alla visione olistica dell’ essere umano, nella consapevolezza, cioè, che mente e corpo sono strettamente legati nell’ unità. La malattia, in quest’ottica,  viene concepita come il risultato di meccanismi che interagiscono a livello cellulare, personale, interpersonale e ambientale

I disturbi psicosomatici anatomy-254120__340.jpg

Il meccanismo che sta alla base dei disturbi psicosomatici è la necessità delle emozioni troppo dolorose di trovare uno sbocco. Quando le emozioni sono intollerabili spingono il corpo a manifestare il disagio in alcuni organi, chiamati organi bersaglio; l’ obbligatorietà ad esprimersi fa sì che queste emozioni trovino una via di scarico immediata nel corpo e che prendano la forma dei vari sintomi. I disturbi psicosomatici sono allora una difesa contro quelle emozioni ritenute inaccettabili e dolorose  che, causando un disagio psicologico, lo portano a “trovare la parola” direttamente nel corpo. Ad esempio, il risentimento, il rimpianto e la preoccupazione, così come altre emozioni cosiddette “negative”, possono mantenere il sistema nervoso autonomo (sistema simpatico) in uno stato di eccitazione e di emergenza per un tempo più lungo di quello che l’organismo è in grado di sopportare. I pensieri troppo angosciosi, cioè, possono mantenere il sistema nervoso autonomo in uno stato di attivazione persistente che può provocare dei danni agli organi più deboli (bersaglio).

Alcuni disturbi psicosomatici  

I disturbi di tipo psicosomatico possono manifestarsi:

  • nel sistema neurologico: vertigini, paralisi o ipostenia localizzate, deficit della coordinazione o dell’equilibrio;

  • nell’apparato gastrointestinale:  gastrite, ulcera peptica, difficoltà a deglutire o nodo alla gola, nausea, colon irritabile, dispepsia funzionale;
  • nell’apparato cardiocircolatorio: tachicardia, aritmie, cardiopatia ischemica, ipertensione essenziale;
  • nell’apparato respiratorio: asma bronchiale, sindrome iperventilatoria;
  • nell’apparato urogenitale: dolori mestruali, impotenza, eiaculazione precoce o anorgasmia, enuresi;
  • nel sistema cutaneo: psoriasi, acne, dermatite psicosomatica, iprurito, orticaria, secchezza della cute e delle mucose, sudorazione profusa
  • nel  sistema muscoloscheletrico:  cefalea tensiva, crampi muscolari, stanchezza cronica, torcicollo, fibromialgia, artrite,  dolori al rachide,  cefalea nucale, mal di schiena, articolazioni doloranti;
  • Sintomi psicosomatici sono comuni nella depressione e in quasi tutti i disturbi d’ansia. 

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I disturbi psicosomatici sono “patologie sistemico-funzionali”

I disturbi psicosomatici sono malattie che, causate e/o aggravate da fattori emozionali, come ogni altra forma patologica, comportano danni a livello organico. I sintomi psicosomatici coinvolgono il sistema nervoso autonomo e costituiscono una risposta vegetativa a situazioni di disagio psichico o di stress. Nello specifico, i disturbi psicosomatici derivano  dall’iper – attivazione del sistema nervoso autonomo (simpatico) il quale viene sottoposto a livelli di eccitazione per periodi lunghi, comportando modifiche neuro-chimiche importanti. Il continuo stato di attivazione ed eccitazione porta, inoltre, all’abbassamento delle difese immunitarie con il rischio aumentato di vulnerabilità alle malattie. Inoltre, a causa dello stato di eccitazione continua del sistema nervoso autonomo, possono insorgere complicazioni generalizzate quali malattie infiammatorie, autoimmuni e neuro-degenerative.  


PNEI

Uno degli indirizzi più promettenti della ricerca in psicosomatica, negli ultimi trent’anni, è la psico neuro endocrino immunologia (PNEI), che ha l’obiettivo di chiarire le relazioni tra il funzionamento psicologico, la secrezione di neuro-trasmettitori a livello cerebrale, gli ormoni da parte del sistema endocrino e il funzionamento del sistema immunitario.


Dott.ssa Silvia Darecchio  – Psicologa – San Polo di Torrile (Pr)  contatti

Il Disturbo Narcisistico di Personalità

Come capire se una persona soffre del Disturbo Narcisistico di Personalità? 

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Per capire se una persona soffre di Disturbo Narcisistico di Personalità devono essere  presenti almeno cinque tra i seguenti sintomi specifici,

sintomi della personalità narcisistica:

  • mancanza di empatia;
  • idee grandiose di sé (sentono di meritare un trattamento speciale, di avere particolari poteri, talenti, attrattività, di dover frequentare persone altrettanto speciali o di status elevato;
  • fantasie di successo illimitato (potere, fascino, bellezza o amore ideale);
  • tendenza a sentirsi svalutati (pensare di non essere sufficientemente apprezzati e riconosciuti nel valore);
  • senso di vuoto e apatia (nonostante eventuali successi);
  • richiesta eccessiva di ammirazione;
  • tendenza allo sfruttamento degli altri;
  • sentimenti di disprezzo, vergona o invidia;
  • atteggiamenti arroganti e presuntuosi.

Le parole chiave per questo disturbo sono “impulsività e instabilità”.

woman-3048525__340Caratteristiche psicologiche del Disturbo Narcisistico di Personalità

Le caratteristiche psicologiche degli individui con Disturbo Narcisistico di Personalità possono essere suddivise in termini di 1. visione di se stessi; 2. visione degli altri; 3. credenze intermedie e profonde;  e 4. strategie di affrontamento delle difficoltà.

  1. Visione di se stessi: io sono vulnerabile (all’abuso, al tradimento, alla trascuratezza); sono “difettoso”; “Sono cattivo”; “Non so chi sono”; “Sono debole e mi sento sovrastato”; “Non riesco ad aiutarmi”;
  2. Visione degli altri: gli altri anche se sono calorosi e affettuosi restano inaffidabili perché : “Sono forti e potrebbero essere di sostegno, ma dopo un po’ cambiare per ferirmi o abbandonarmi”;
  3. Credenze intermedie e profonde: credo che : “Devo sempre chiedere quello di cui ho bisogno”, “Devo rispondere quando mi sento attaccato”, “Lo devo fare perché devo sentirmi meglio”, “Se sono solo, non sarò in grado di affrontare la situazione”, “Se mi fido di qualcuno, questi prima o poi mi abbandonerà o abuserà e starò male”, “Se i miei sentimenti sono ignorati o trascurati, perderò il controllo”;
  4. Strategie di affrontamento delle difficoltà: se una situazione mi sovrasta mi sottometto, alterno l’inibizione ad una protesta drammatica, punisco gli altri, elimino la tensione con azioni autolesive.

Quali sono le cause del Disturbo?

Il disturbo narcisistico di personalità potrebbe essere causato da molteplici condizioni. La maggior parte delle ricerche sostiene l’idea che a causare tale sintomatologia concorrano fattori ereditari e ambientali.

Fattori ambientali:

  • IPOTESI 1:  genitori che credono nella superiorità del figlio, che premierebbero solo le qualità in grado di sostenere l’immagine grandiosa di sé e che garantiscono il successo.
  • IPOTESI 2:  ambiente familiare incapace di fornire al bambino le necessarie attenzioni e cure, di riconoscere, nominare e regolare le sue emozioni, nonché di sostenere la sua autostima o i suoi desideri. Questo tipo di contesto disfunzionale tenderebbe a sviluppare nel bambino l’idea di poter vivere facendo a meno degli altri e di poter contare unicamente su se stesso.
  • IPOTESI 3:  ambiente eccessivamente iperprotettivo che danneggia la fiducia del bambino in sé o anche un ambiente oltremodo permissivo e indulgente che comunica al bambino un senso di superiorità.
  • IPOTESI 4:  bambino vittima di offese e umiliazioni, soprattutto da parte dei coetanei, potrebbe far fronte alle continue minacce alla propria autostima sviluppando un senso di sé grandioso.

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Il disturbo e la quotidianità

Il disturbo narcisistico di personalità può compromettere ogni ambito della vita delle persone che ne soffrono: la professione, le relazioni e i rapporti di coppia. I narcisisti, infatti, quando non ricevono risposte alle loro continue richieste di ammirazione, di trattamenti di favore e alla soddisfazione immediata dei loro bisogni, possono divenire furiosi o mostrare disprezzo e distacco e, mancando di empatia, ricorrere alla manipolazione per raggiungere i propri scopi, fino alla messa in atto di comportamenti abusanti per riconquistare il potere che sentono di avere perduto. Se vengono criticati e se non ottengono il riconoscimento, che credono di meritare, possono reagire con rabbia o vergogna. Inoltre, poiché ritengono che lo status sociale ricopra un ruolo fondamentale nell’ esaltazione della propria immagine grandiosa, spesso si legano a persone famose o speciali che forniscono loro importanza di riflesso, sviluppando rapporti opportunistici e superficiali.  Gli altri, d’altro canto, sentendosi sfruttati, manipolati e non rispettati nei loro bisogni potrebbero decidere di allontanarli. Questi distacchi, confermando uno dei peggiori timori dei narcisisti, portano a periodi di forte ansia e depressione; per lo più gli unici sintomi, che riescono a motivare, chi soffre di questo disturbo di personalità, a cercare l’ aiuto di un professionista.

Le stime di prevalenza del Disturbo Narcisistico di Personalità nella popolazione generale sono dell’1% e interessa principalmente i maschi e i paesi capitalistici occidentali.

 


Dott.ssa Silvia Darecchio  – Psicologa – San Polo di Torrile (Pr)  contatti